Per avere una grande Europa ci vogliono nazioni più piccole? Come la Catalogna?
La profezia di Freddy Heineken aleggia su un’Europa percorsa dai brividi indipendentisti. Ma che c’entra con le tentazioni della Catalogna l’imprenditore olandese della birra, vittima nel 1983 di un rapimento che divenne un film e morto nel 2002? C’entra, perché Heineken, convinto europeista, elaborò una teoria che, secondo lui, avrebbe consentito al Continente di prosperare in pace eliminando le tensioni etniche che da sempre ne minano la stabilità. “Propongo un\’Europa unita di 75 stati” scrisse in un opuscolo pubblicato nell’estate del 1992 “ciascuno con una popolazione di 5-10 milioni di abitanti”. Un’utopia, e infatti il libro fu intitolato Eurotopia. Ma che con gli anni ha dimostrato di avere qualche fondamento. E in certi casi si è addirittura avverata.
Il magnate si fece aiutare dagli storici Henk Wesseling e Wim van den Doel che disegnarono una mappa dell’Europa suddivisa in 75 staterelli, tenendo conto delle sensibilità etniche e della densità della popolazione. L’Italia, per esempio, sarebbe formata da otto Paesi diversi (vedi mappa). Probabilmente Heineken aveva in mente il caso del vicino Belgio, una nazione improbabile divisa tra fiamminghi e valloni dove si parlano due lingue diverse: non a caso qui il suo libro divenne la “bibbia” del club De Warande, che rappresenta l’associazione dei datori di lavoro e che pubblicò nel 2005 un manifesto a favore delle “Fiandre indipendenti in Europa”. Ma l’imprenditore guardava con preoccupazione anche alla disgregazione della Jugoslavia, dove la divisione in staterelli che lui propugnava si stava per consumare nel sangue.
Per quanto bizzarra, la tesi di Heineken si basa su una serie di assunti che hanno qualche fondamento. Il primo è che al crescere del potere politico ed economico dell’Europa Unita, diminuisce l’importanza degli Stati. Perché Barcellona deve passare per Madrid, o Milano per Roma, quando Catalogna e Lombardia possono parlare di cose importanti direttamente con Bruxelles? Nel 2000, quando fu introdotto l\’euro, gli economisti del Mit di Boston Alberto Alesina ed Enrico Spolaore scrissero il libro La dimensione delle nazioni (2003) nel quale sottolineavano proprio come”l’integrazione economica” favorisce “la disintegrazione politica”.
Secondo argomento di Heineken: di fronte allo sviluppo di superpotenze come quella cinese o quella indiana, gli stati europei sono troppo piccoli per gli affari internazionali ma allo stesso tempo troppo grandi per affrontare i problemi quotidiani dei cittadini. La politica internazionale, la moneta, la difesa, la gestione di emergenze come l’immigrazione, forse anche alcuni livelli base di welfare, potrebbero essere delegati a un governo federale che abbia un peso importante sul palcoscenico del mondo. Mentre gli stati piccoli potrebbero essere amministrati in modo più efficiente, in base alla tesi secondo cui più il potere è vicino, più è trasparente, democratico e responsabile.
L’Europa disegnata da Heineken non sarebbe poi molto diversa dagli Stati Uniti che con una popolazione leggermente inferiore è suddiviso in 50 stati, con un governo federale eletto dal popolo. E poi, per spezzare una lancia a favore del birraio olandese, si può ricordare che in Europa abbiamo assistito alla nascita della Repubblica Ceca e della Slovacchia: hanno divorziato in modo civile e non sembrano oggi pentite della scelta né sono Paesi sull’orlo della povertà. Così come non sembrano sofferenti la Slovenia o il Montenegro. Ed è altrettanto vero che il referendum in Catalogna e in Scozia (e quelli in tono minore in Lombardia e Veneto), le sparate dell’Austria sulle doppia nazionalità degli altoatesini di lingua tedesca, le sopite antipatie tra i 16 Länder tedeschi, le pulsioni sarde e siciliane, sono tutti lì a dimostrare che qualcosa nell’Europa delle nazioni non funziona.
Passeranno anni, forse secoli, ma un giorno avremo l’Europa delle regioni, se non delle province?
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